Avete mai sentito parlare dello shinrin-yoku? Il bagno nella foresta, una pratica che dal Giappone si sta diffondendo un po’ ovunque. Qui bagno sta per immersione sensoriale nel bosco: in poche parole, dice Nicla Panciera su La Stampa, occorre annusarne gli odori, ammirarne lo splendore fino a chiudere gli occhi, rimanere in ascolto respirando profondamente e restando, preferibilmente, scalzi.
Il professor Qing Li, uno dei guru del forest bathing, ha parlato di “disturbo da deficit di natura”, a causa dell’eccessiva urbanizzazione della società moderna.
Al di là delle evidenze terapeutiche delle pratiche proposte dal professor Li, mi interessa questo suo monito: rimuovere la natura dalla nostra esistenza non può che avere ripercussioni, individuali e sociali. C’è bisogno di reintrodurre la natura nella vita delle persone. Ma attenzione, ad ogni bisogno corrisponde un business: il pericolo è che per riappropriarsi di spazi e tempi nella natura si arriverà a pagare, anche profumatamente.
Comunque scriverò al professor Li, proponendogli di venire ad aiutarmi il prossimo autunno, quando ci sarà da scaricare il primo bancale di pellet, o a dicembre, quando la strada sarà ghiacciata e bisognerà salire a piedi, con Franci in braccio e la spesa nello zaino. Altro che forest bathing…
Nel percorrere la medesima foresta, individui diversi sono sensibili a cose differenti. Vi è la foresta del cercatore di funghi e quella di chi ama passeggiare, la foresta del fuggitivo, dell’indiano, del cacciatore, del guardiacaccia o del bracconiere, e quella degli innamorati e di coloro che si sono perduti; vi è la foresta degli ornitologi ma anche quella degli animali o dell’albero, la foresta del giorno e quella della notte. Mille foreste nella stessa foresta, mille verità di un medesimo mistero che ci sfugge. (David Le Breton, Il sapore del mondo – un’antropologia dei sensi)