Contare le ore a dozzine. Una mezza dozzina di ore a Brescia, una intera a Mantova, un’altra mezza ancora a Bergamo. Una dozzina buona, infine, in autostrada. In totale tre dozzine di ore lontane da borgata Don. Ma stamattina dovevo essere a Bergamo, le scadenze universitarie non lasciavano alternative.
Abbiamo dormito a Castiglione, da mio papà. Castiglione è il mio paese natale: dieci chilometri dal lago di Garda, dieci dalla pianura più piatta.
Ho vissuto a Castiglione fino a ventisei anni. Ventisei anni raggrumati in una dozzina (ancora!) di ricordi significativi, una manciata di amici, un pugnetto di speranze disperse nella nebbia, che lì era abbondante e costante. Se chiudo gli occhi posso però ricordare perfino le mattonelle della casa dei miei nonni dove ho trascorso quei ventisei anni. Le voci e gli odori via via svaniscono, se non quando rievocati nei dialoghi tra me e Fabio.
Poi ci son tornato a vivere a Castiglione, qualche anno fa. A casa di mio padre, senza neppure passare dalle vie in cui ho trascorso l’infanzia (rimuovere: ci sono diktat interiori più inflessibili dei commissari politici dell’Armata rossa).
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.Contemplarvi: impossibile contemplare le stelle a Castiglione, troppa nebbia;
sul paterno giardino scintillanti: non si vedono stelle dal giardino di mio papà, solo molestissimi pavoni;
ove abitai fanciullo: no, non è la stessa casa.
E delle gioie mie vidi la fine: in certi giochi enigmistici per bambini la matita deve percorrere viuzze, sentieri e vicoli ciechi per arrivare all’uscita del labirinto; ci sono a volte più percorsi possibili, a volte no. L’uscita è questa borgata di Lou Donn, e con lei Franci ed Elena. Il percorso in mezzo, partito da Castiglione, ha avuto più vicoli ciechi che altro.