Leggo frequentemente di progetti di riqualificazione delle borgate alpine, di interi borghi che vengono acquistati per essere trasformati in resort o alberghi diffusi, frazioni disperse che rinascono come strutture ricettive. Sia chiaro, sono iniziative lodevoli, a patto che si sia d’accordo sul definirle e classificarle: parliamo di investimenti privati, di conseguenza finalizzati, fino a prova contraria, principalmente al profitto; è una montagna ad usum delfini, in cui il delfino è il Centro, cioè la modernità, che certo non vive la montagna se non come turismo e svago, non diversamente da un parco divertimenti o uno stabilimento balneare.
Sicuramente la rinascita di una borgata è pur sempre meglio dell’abbandono, ma in queste circostanze non si affronta la questione principale, secondo me, cioè il ripopolamento consapevole della montagna, attraverso il quale passa la sua salvaguardia. Con ripopolamento consapevole intendo la possibilità per la gente che vive in montagna di continuare a godere della propria terra senza avere la sensazione di essere stati lasciati indietro: non c’è bisogno di riempirsi la bocca di parole quali tradizione o memoria, ne basta una molto più comune e ordinaria: servizi.
Ci sono tanti modi di vivere la montagna, insomma. Noi siamo dei neofiti, non c’è dubbio, quindi il nostro punto di vista è parziale e ingenuo, dettato dall’entusiasmo di chi sperimenta un’avventura senza che l’esperienza e la noia siano già subentrate; d’altronde, è il punto di vista di chi, provenendo dalla pianura, si reputa pseudomontanaro vivendo a settecento metri d’altitudine.

Polemica fine a se stessa, lo so. Ma, in realtà, siamo in piena campagna elettorale: sarebbe bello se qualcuno dei candidati dedicasse qualche parola anche al tema della montagna.
sarebbe meglio far ri-vivere le borgate, e più in generale le zone “periferiche” (intendo lontane dai grandi centri abitati e quindi anche dai servizi) di vita vera, non solo ai fini turistici
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Ciao, è quello che penso anche io
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Concordo pienamente, anche io parlo da esterno, in quanto proprietario di una seconda casa, ma conosco bene questo territorio anche per lavoro e vedo un estremo abbandono. Le Alpi piemontesi hanno sofferto più di tutte il richiamo della industrializzazione del novecento dalle vicine pianure… ma forse c’è anche qualcosa di più… qualcosa legato alla mentalità dei locali.
La mia sensazione è quella di un far-west dove in pochi (locali e non) si arricchiscono ai danni di una collettività ormai ridotta al lumicino. Anche le istituzioni arrancano, gli enti locali senza risorse finanziarie ma spesso anche incapaci rissosi e pasticcioni, ma anche la Regione stessa manca di una visione a lungo termine, e non investe sul territorio se non per emergenze e per progetti sconnessi e dispersivi. Purtroppo è anche il sistema di finanziamento dei fondi europei che induce a questo comportamento, siamo sempre li in attesa di un nuovo Programma come se fosse del metadone (vedi per esempio i programmi di Cooperazione transfrontaliera 2014-2020…) per avviare progetti senza ricadute reali sul territorio, ma con l’unico obbiettivo di dare la commessa a un docente universitario, a qualche progettista… e incrementare la visibilità politica del sindaco o dell’assessore.
Da parte nostra occorre anche uscire dai semplici stereotipi sul turismo, sugli effetti nefasti del modernismo alpino, sulle culture perdute (le culture non si perdono ma si rinnovano) per evitare di ridurre tutto a inutili contrapposizioni tipo urbano-rurale, consumismo-sobrietà, fast-slow…
Altrimenti…ricordo che recentemente avevo letto da qualche parte che le Alpi esaltano le intenzioni e condannano gli errori, senza mezze misure…
Al momento in giro per la valle vedo molte condanne, conseguenti “esecuzioni sommarie” e un territorio tormentato.
Mauro
p.s. mamma mia che pippone! scusate
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Ciao! Grazie del tuo intervento! Purtroppo è un quadro un po’ desolante quello che emerge, però hai ragione: è un problema politico e culturale, locale e nazionale. Non servono le condanne, ma risorse e proposte.
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