Ieri a scuola ho riletto Rosso Malpelo.
Questa volta, a differenza di tutti gli altri anni, non ho fatto sforzi di immaginazione per ambientare la vicenda in qualche lontana miniera di zolfo della Sicilia orientale.
C’è una fotografia dei minatori che lavoravano nelle miniere di grafite di Inverso Pinasca, presente in qualche opuscolo del comune, che mi ronzava in testa da questa estate. Nell’immagine si vede un autentico monellaccio (a me sembra sfumacchiare un mozzicone di sigaro) che campeggia, seduto in posizione rialzata rispetto agli altri lavoranti, quasi assiso in trono come certe figure dei dipinti sacri, mentre sorregge l’insegna della ditta. L’età è quella di Rosso Malpelo, ma le similitudine, forse si fermano qui. Quasi tutti gli altri protagonisti della foto, torvi e anneriti in volto, invece, assomigliano di più al protagonista della novella di Verga.
Salendo verso la miniera abbiamo spesso figurato la fatica di quei lavoratori, pure aiutati da carretti e carrucole varie.
La miniera di Lou Donn è proprio qui sopra le nostre teste. Ogni tanto si sente sibilare e sferragliare. Sappiamo che sono i rumori che salgono dal fondovalle, dalle fabbriche di Villar Perosa. Ma la notte, a volte, immaginiamo il piccolo Rosso Malpelo piemontese intento a scavare grafite nei cunicoli della montagna. E un po’ ci si ghiaccia il sangue.
… è bastato un bancale di pellet, trasportato fino al calare del sole per la breve ma ripida salita che separa il piazzale da casa, per toglierci quel fondo di ironica superiorità con cui l’occhio del XXI secolo osserva una foto del genere.
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